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LA NAVE SCOMPARSA

  • Immagine del redattore: Giusi Lombardo
    Giusi Lombardo
  • 1 lug
  • Tempo di lettura: 3 min
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Cosa potrebbe farci una nave in mezzo alla campagna è un interrogativo più che giustificato. Ma quando scrivo che Palermo è sorprendente non esagero, perché basta percorrere pochissime centinaia di metri al di fuori del suo centro storico ed è come se ci si ritrovasse in un altro mondo. Lo spunto della mia ricerca ed analisi del territorio nacque dal desiderio di censire le fontanelle destinate all'erogazione di acqua pubblica ancora presenti in città. Pertanto la ragione che un paio di anni fa mi spinse a raggiungere via Villa Nave fu la ricerca di una fontanella storica in ghisa prodotta dalla Fonderia Oretea nel 1886. Fontanella che purtroppo non ho trovato, forse spostata altrove o dismessa in quanto guasta. Ma ho trovato un ambiente così antico e gradevole del quale mi fa piacere girarvi le immagini e qualche descrizione.

Via Villa Nave è una stradina che si apre, in direzione di via Riserva Reale, a destra di via Nave, quasi di fronte alla cappella della Madonna di Trapani.

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Entrambe le strade ricordano il nome di una villa la cui denominazione era dovuta ad una fontana alimentata dalla vicina sorgente del Gabriele che al centro presentava una piccola nave marmorea sorretta da colonnine. La villa venne edificata da Blasco Lanza dei Lanza di Trabia fra la fine del 1400 e gli inizi del 1500 circa, forse commissionando la navicella ad Antonello Gagini. Nino Basile, nella sua opera "Palermo felicissima" del 1929, riportò la descrizione della navicella di Frate Leandro Alberti del marzo del 1526, quando egli si fermò a Palermo dopo i suoi giri in tutta la penisola italiana. Il frate bolognese scrisse della meravigliata ammirazione provata osservando "il paese fertile et dilettevole" ricco di giardini pieni di cedri, limoni, aranci ed altri frutti "gentili" in cui "da ogni lato scorrono ruscelletti di chiare acque mormorando soavemente". Poi Frate Leandro si soffermò su un dettaglio. "Et tra l'altre cose belle, che io vi viddi, fu una navicella di marmo lunga tre piedi nel mezzo di uno di quei giardini, sostenute da alquante piccole colonne in cima ad una isoletta dall'acqua attorniata. Sulla qual navicella erano per alcuni condotti mandate l'acque di tanta abbondanza, che scorrendo elle per la navicella mentre le persone poste a tavola mangiavano, conducevano loro davanti i vasi pieni di vino, come loro piaceva. Cosa nel vero di molto piacere e spasso."

Pensare a dei giochi d'acqua che partivano abbondantemente dalla navicella per portare a tavola i vasi di vino fresco ai commensali penso che sia un meccanismo geniale, specialmente nel Cinquecento! La fontana della navicella era completata da un epigramma in latino di Antonio Veneziano, ricordato dal Baronio nel secolo successivo, di cui il Basile riporta la traduzione:


Tu che miri nel limpido elemento

Marmorea nave non toccarne il fondo,

Lascia il mirar: chi spiegar l'ale al vento

Insegnò al par d'uccello, e l'uman pondo

Levar per l'etra, mentre all'arte intento

Il siculo correa lito fecondo

Dettò qual possa un marmo in modo arcano

Galleggiare pel torbido océano.


Quando e come sparì la fontana con la navicella non è dato sapersi. Dopo vari passaggi di proprietà, nel 1896 la villa ed il giardino passarono nelle mani delle suore teatine dell'Immacolata Concezione di Maria Vergine, ancora oggi presenti con la gestione di un istituto per disabili: Villa Nave.

Ma io sono arrivata fino in fondo alla stradina, per ricercare la mia fontanella. Ho trovato tanta natura, silenzio, aria pura ed un piccolo baglio che pare sia di origini settecentesche.

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Forse si tratta di baglio Calafiore, nome toponomastico ancora esistente nello Stradario storico del 1951 di Francesco Calascibetta, nel quale si rileva che la strada al tempo giungeva fino al civico 13 di via Micciulla.

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Si nota una struttura che serviva al sollevamento delle acque per la loro distribuzione nei vari usi,

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qualche edicola votiva come questa che rappresenta la Madonna del Rosario, probabilmente riconducibile alla omonima chiesa edificata in zona nel 1703 dall'allora proprietaria di questi luoghi, la famiglia Gerbino,

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ed una costruzione con le tracce di antichi archi che fanno presumere la passata esistenza di un mulino. E' probabile che si tratti dell'ottocentesco mulino di Voglia, ricordato anch'esso dal Basile nel suo capitolo dedicato alla villa.

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Forse non ci crederete, ma io lì andrei ad abitarci.


Bibliografia: Palermo felicissima di Nino Basile

Dizionario storico-toponomastico di Mario Di Liberto

 
 
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