IL MISTERO DELLA STATUA NASCOSTA FRA GLI OLEANDRI E CUSTODITA DAI GATTI
- Giusi Lombardo

- 30 ago
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Fra tutte le mie scorribande un giorno, alla Vignicella, mi sono imbattuta in una statua misteriosa. Tanto misteriosa che in passato, durante altre visite, non mi ero accorta della sua presenza; soprattutto per la vegetazione dietro alla quale risulta in gran parte nascosta. Così enigmatica, che a tutt'oggi non sono riuscita a scoprire le sue vere origini. Ma un tarlo si è ormai insinuato nella mia mente e scava, scava fino a farmi formulare un'ipotesi. Una spiegazione congetturale che parte dai luoghi, da una villa cinquecentesca scomparsa e dall'epoca dello stile artistico della scultura.
La Vignicella, come molti sapranno, si trova a Palermo all'interno dell'ospedale di via Gaetano La Loggia e prende il nome dalla zona ricca di vigneti che nel 1560 i Gesuiti prescelsero come luogo di riposo e di meditazione al di fuori delle mura cittadine, espandendo poco per volta i loro possedimenti terrieri in quell'area. Trascorsero i secoli e nell'Ottocento il loro edificio principale assunse funzioni di Ospedale psichiatrico, destinato ad accogliere la terza sezione delle sfortunate persone affette da tali gravose malattie. Era la cosiddetta "Real Casa dei Matti", rimasta in attività fino alla chiusura dei manicomi del 1978.

Adiacente alla costruzione, nel complesso della Vignicella, rimane la chiesa restaurata della Madonna dell'Uscibene, poi intitolata a S. Rosalia,

un altro immobile sventrato, divenuto dominio di colonie feline,

l'accesso ai qanat del Gesuitico basso (il Gesuitico alto si trova a fondo Micciulla, nei pressi di villa Belvedere di cui ho già trattato https://www.palermorewind.it/post/il-castello-nascosto), il bel vivaio Ibervillea ed infine, salendo pochi gradini e facendo attenzione ai gatti che sembrano custodirla facendo da corte reale al sovrano dei felini, il leone che l'accompagna, una fontana composta da una vasca e dalla nostra misteriosa statua marmorea che potrebbe rappresentare una ninfa oppure una figura mitologica, forse Echidna proprio per la presenza di un leone.

Ma una scultura così profana non può ricondursi ad una scelta voluta dai Gesuiti e quindi il suo originario luogo di provenienza dovrebbe essere diverso da quello in cui essa attualmente si trova.
Pertanto, per la mia intuizione, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo cominciando con la classica frase "C'era una volta".
Molto vicino, poco oltre via Giuseppe Pitré, esiste a tutt'oggi un rione comunemente chiamato "Quattro Camere", il cui toponimo rimane nella via Siccheria Quattro Camere, perché vi esisteva un delizioso giardino, detto la Siccheria, che ricopriva l'estesa area che va dal convento dei Cappuccini sull'omonima piazza, con l'adiacente cimitero e le famose catacombe, fino al palazzo della Zisa.
Nel 1439 il giardino venne donato dal re Alfonso il Magnanimo a Rinaldo Oppezzinga. Il nome Siccheria, dovuto alla presenza di una antichissima sorgente d'acqua, secondo lo storico ottocentesco Michele Amari, proviene dal temine arabo "sackya", ovvero "acquedotto" o "canale d'irrigazione".
Contigua al giardino esisteva una villa descritta dallo storico Nino Basile, nella sua opera "Palermo felicissima" del 1929, a proposito delle ville di Palermo nel secolo XVI. Infatti egli raccontava che "tra il convento dei Cappuccini e la Zisa, sorgeva la villa famosissima di Don Carlo d'Aragona, Duca di Terranova, Principe di Castelvetrano, più volte Presidente del Regno di Sicilia, poi Governatore dello Stato di Milano".
Il gentiluomo Don Vincenzo Di Giovanni, intorno al 1615, la descrisse elogiandone le bellezze, superiori "a qualsiasi altra villa regia o papale". Appena entrati ci si ritrovava dinanzi a più bagli (cortili) grandi e spaziosi con un labirinto di mirti che conducevano ad una piazza centrale, dotata di montagnola e grotta insieme a diversi giochi d'acqua ed altre delizie. Di Giovanni, proseguendo nella sua descrizione, narrava che il suo iniziale giardino quadrato, con dei viali ricchi di mirti, di aranci e di altri frutti, era adornato da una grande vasca con svariate statue marmoree che vi erogavano abbondante acqua attraverso le bocche di animali: una fonte di assoluto fascino.
Di fronte all'entrata, alla fine di un viale, si apriva una grotta artificiale (poi identificata come una camera dello scirocco) "di meravigliosa bellezza": esternamente ricoperta di edera, internamente rotonda con il soffitto a volta ed un grande vaso centrale poggiato su un pavimento "di mattoni di Valenza".
Ma già ai tempi di Francesco Baronio Manfredi, nel 1630, la villa si trovava in rovina. Nei due lati del giardino con la fontana e la grotta centrale, si aprivano quattro camere, due per parte, tutte dipinte con impudiche raffigurazioni i cui residui vennero notati da Jean Houel, ricordandoli nella sua settecentesca opera "Viaggio in Sicilia" ed attribuendone l'opera a scolari di Raffaello che avevano lavorato con lui alle Logge Vaticane. Houel ricordò anche una statua raffigurante la Venere accroupie (accovacciata), di cui rimane un disegno conservato nella Biblioteca Comunale di Palermo.

Della sontuosa villa, alla morte del Magnus Siculus Duca di Terranova, dopo vari passaggi di proprietà dei quali una parte venne donata ai Padri Cappuccini, ai tempi di Nino Basile restavano soltanto pochi residui: un puteale (parapetto) marmoreo con una statua di Cerere su un elefante che però già da tempo aveva smesso di sgorgare acqua dalla sua proboscide, ma che Dante Cappellani riuscì fortunatamente ad immortalare in uno dei suoi preziosi scatti.

Delle altre statue con gli animali ricoperti di crocchiole (conchiglie) che emettevano acqua dalla bocca non si hanno notizie, però la mia supposizione mi porta a pensare che almeno una di essere possa essere sopravvissuta e trasferita alla vicina Vignicella: la scultura è di marmo, con un braccio riattaccato ed il viso ricomposto con altro materiale.

Ma lo stile del leone dalla bocca ormai priva di acqua è del periodo tardo cinquecentesco, come quello della realizzazione della scomparsa villa che, fino alla prima metà del Novecento, ospitò la clinica D'Anna.

Purtroppo in seguito ne avvenne la definitiva demolizione per ampliare via Eugenio l'Emiro.
L'accesso alla Casa di Salute D'Anna era nell'attuale via degli Emiri, al tempo via Mulini alla Zisa, il cui nome però persiste nel tratto di strada che va da piazza Zisa alle vie Polito e degli Emiri. Nel rione Quattro Camere vennero edificate delle case popolari e chi non conosce l'origine del nome crede erroneamente che questo voglia riallacciarsi al numero delle stanze degli appartamenti ad uso popolare qui costruiti.
Una magnificenza sparita con l'idea del labirinto che probabilmente, all'epoca, poteva rappresentare la ricerca dell'uomo fino al raggiungimento della felicità e un delizioso giardino scomparso, di cui forse la nostra statua conserva ancora stille di memoria.
Se così non fosse, lasciatemi sognare...per me è comunque una bella occasione per ricordare la Palermo che fu.
Ringrazio Salvatore Mercadante, storico dell'arte, per la consulenza professionale cortesemente prestata esaminando la statua.
Bibliografia: Palermo Felicissima di Nino Basile
Palermo Dizionario storico toponomastico di Mario Di Liberto







